Una recensione
a cura di Pietro Pancamo
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Massimo Sannelli, Philologia Pauli. Il corpo e le ceneri di Pasolini, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2006
A luglio del 2006, è uscito a Santarcangelo di Romagna un saggio intitolato Philologia Pauli. Il corpo e le ceneri di Pasolini. Si tratta indubbiamente di un volume esemplare, il cui autore (il critico e poeta Massimo Sannelli) investe ed investiga con intensità amorosa — di sicuro filiale — un accadimento chiave, consumatosi all’idroscalo di Ostia Lido nel 1975, quando Pier Paolo Pasolini perì in circostanze controverse, e a tutt’oggi da chiarire a pieno, nelle quali Sannelli, dopo aver confrontato le opere dello scrittore bolognese con le cronache giornalistiche del delitto, scorge il compiersi annunciato, se non forse ineluttabile, di un destino tanto mi(s)tico quanto presumibilmente cri(s)tico. È dunque la morte di Pasolini una resurrezione sottotraccia, deputata a configurarsi come focolaio di purificazione o, magari, contagio sublime da propagare salvifico ad un’intera società in crisi? Sannelli ne sembra convinto: non a caso in Philologia Pauli, subito passa a conficcare (meglio: incarnire) nella materia mobilissima di un ragionamento dinamico — che riassume per salienti capi (anche d’accusa, talora) il passato (recente o lontano) e l’anima attuale della poesia italiana — la sonda di uno sguardo compenetrante e sintetico, nobilmente capace di ricostruire con precisione filologica l’afflato quasi messianico di una morte prolifica. Proprio così: feconda. Ossia agilmente brava a suggerire in scioltezza nuovi sentieri di ricerca e a tramutarsi, transustanziarsi nonché trasumanarsi, per Sannelli, in un terreno d’indagine polisemica, nel quale scavare con assidua maestria, ricorrendo sempre (è ovvio) agli strumenti poetici d’una snella, acuminata incisività analitica, che rapida discende nel suo trivellare, sino a raggiungere infallibilmente la verità (al solito celata nel profondo, come... Petrolio).
A postillare e chiudere il libro (in un certo senso, quindi, ad allungarlo ed accorciarlo insieme) ecco poi una breve coda lirica, costituita dalle venti poesie della plaquette Il mese Giugno: in essa un sistema ben strutturato di silenzi ellittici — tutti imperniati sugli effetti stranianti di una “drammatica grammatica” — conferisce ad ogni testo la conformazione ansimante e diluita del frammento. La piccola silloge risulta insomma franta (... e franca); inoltre, scandita frequentemente da una serie sincopata di pause ed enjambement, si rivela caratterizzata da un susseguirsi di brani, i quali (in apparenza slegati, disomogenei e ciascuno “puntato” in una direzione diversa) ingaggiano l’un con l’altro, a livello tematico, un fitto “cannoneggiamento” (nascosto e in sordina) di rimandi continui — vale a dire di tangenze innumerevoli —, ricompattandosi così, e proprio in virtù di queste ultime, in una sorta di cangiante unità ondivaga, al tempo stesso rapsodica e coerente. Ma a doverla ricostruire — secondo un metodo che (prontamente spiegato al termine o culmine della raccolta) si risolve nel saltare e correre di nesso in richiamo, per riassemblare la moltitudine degli echi in un flusso piano e coeso — è pur sempre il lettore, quasi che Sannelli desiderasse tacitamente invitarlo — per “rinverdire” il Pasolini degli Scritti corsari — a rimettere in ordine e organizzar il caos veggente dell’ispirazione, come del pensiero.
Pietro Pancamo
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Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
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