Una recensione
a cura di Annalisa Macchia
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Quest’ultimo libro di racconti di Subhaga Gaetano Failla, elegantemente realizzato in dimensioni ridotte e con la stampa raffinata di Fara Editore, si presenta con un’enigmatica copertina disseminata di nuvole, dove campeggia il disegno di una valigia e dove il titolo La signora Irma e le nuvole, tratto da uno dei ventotto racconti della raccolta, è in perfetta sintonia con le belle grafiche di Elvira Pagliuca.
Spesso calati in misteriose atmosfere, ma freschi, agili, privi di qualsiasi orpello letterario tendente ad appesantire la scrittura, questi testi rivelano l’amore per una prosa asciutta e dinamica, come testimoniano le numerose, rapide, ma non per questo meno incisive, descrizioni di una natura osservata sempre con amore. Il dialogo che caratterizza i personaggi è essenziale e allo stesso tempo fluido; tipico di certa letteratura americana che deve avere particolarmente inciso nella formazione di Failla.
Non mancano, però, spunti per riconoscere anche altri grandi maestri, il cui sapiente contributo si avverte in questa raffinata e personalissima maniera di narrare. Edgar Allan Poe, in particolare, il cui fantasma fa capolino in ambientazioni ricche di suspense e ai confini con la realtà. Certe sfumature fantastiche e surreali richiamano alla mente anche la prosa di Buzzati o le splendide pagine di Borges ed altri infiniti autori che, silenziosamente, dopo essere stati letti, amati, assimilati, si sono abilmente intrecciati alla prosa di Failla, senza dubbio un appassionato ed eclettico lettore. D’altronde, non ci può essere scrittore, credo, se prima non c’è stato un accanito lettore.
Ci si rende presto conto che in questi racconti i comuni “confini terreni” non hanno significato. Barriere tra sogno e realtà sono magistralmente abolite, anche quando la storia è ben ancorata a terrestri vicende e il tempo si configura come un indefinibile flusso tra emozione ed emozione, fantasie e ricordi. I tuffi nel “passato”, nell’“infanzia” sono frequenti, ma sempre intrecciati ad un avvenimento presente e, comunque, inscindibili dall’uomo che racconta.
In questo tempo senza tempo si muovono personaggi vari, inseriti in contesti differenziati e per lo più immaginari, eppure l’esperienza, il tocco di chi scrive sono evidenti in ciascuno di essi. Mischiati alla narrazione appaiono, come sassolini lasciati cadere (forse inconsciamente) a tracciare un sentiero che unifichi i racconti, veri pezzetti di anima dell’autore. Utile regalo per il lettore che voglia addentrarsi nei meandri apparentemente facili da percorrere di questa lettura, deciso a non perdersi durante il percorso.
Brevi e suggestivi versi, preferibilmente sotto forma di haiku, presenti nei bei racconti Di foglie verdi e La signora Irma e le nuvole, testimoniano inoltre l’amore per la poesia da parte di Failla e, forse, il desiderio di riuscire ad unire in un unico corpus prosa e poesia, come si percepisce leggendo la definizione che egli dà di questa particolare forma poetica: “[…] il tentativo di riunire frammenti disparati per comporre un’unica comprensibile logica esistenza […]”.
Per bocca dei suoi personaggi, dal “grigio involucro sociale” dell’umanità, Failla ambisce, attraverso i magici giochi della letteratura, a scoprire la vera natura umana (la sua?), anche negli aspetti più ambigui, nei risvolti inquietanti di doppie e opposte identità. Un personaggio per tutti: l’immaginario Attilio. “Attilio e io, due fantasie. Questa è una storia vera [...]” è la significativa conclusione del racconto Storia vera, in cui il gioco con il reale ed il surreale si fa particolarmente accentuato e, come sottolineano le stesse parole dell’autore, il “viaggio è un trucco”.
Il “solito garbuglio di detriti inconsci” (così Failla descrive l’attività onirica in un altro racconto) lo aiuterà, sogno dopo sogno, a illuminare molti lati oscuri di questa sfuggente natura, a provare perfino l’estasi della libertà, quell’estasi che talvolta la scrittura può regalare quando a lei ci si affida con purezza d’animo e di intenti: “Mi riuscì di ascoltare per un secondo la musica delle sfere celesti. Galleggiavo anch’io nello spazio insieme al mio piccolo pianeta Terra [...]” è il sospiro che alita inebriato, in Stelle, uomini, cani e altre incredibili stranezze.
Il tema dell’ansia di libertà ricorre frequentemente. “Vorrei un giorno staccarmi dal mio fardello fisico come un’ombra che abbandona il suo corpo, per poter volare velocissimo nello spazio... ” sono le parole pronunciate dal vecchio professor Viraldi in La pensione, certamente non estranee agli aneliti dello scrittore. Così, “attingendo ad una sorgente trascurata da tempo”, l’autore prosegue la ricerca e, nel cammino, vengono trascinate paure, gioie, coinvolti gli affetti più cari; nemmeno la morte riuscirà a scoraggiarlo. “«Chissà se per me ci sarà un’altra possibilità» — pensò — «Morire e ritornare in un altro corpo per raggiungere la pace… »”, si legge in Un cielo azzurro.
Un bel viaggio dunque, ricco di visioni, verità nascoste, immaginate, rivelate, per chi si accinge alla lettura di questa raccolta.
Il messaggio? Data la ricchezza e l’ampiezza dei temi trattati, forse ogni lettore ve ne troverà di differenti. Personalmente ho apprezzato la gioia che tra riga e riga si avverte. La gioia di scrivere, di divertirsi, di raccontare e raccontarsi e di giocare con il linguaggio, in un’ansia di bello, allo stesso tempo, fonte d’energia e meta di questa scrittura.
Annalisa Macchia
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Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
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