Una recensione
a cura di Lorella De Bon
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Il biglietto da visita di questa raccolta poetica è molto intrigante. La Riviera del sangue, titolo misterioso e crudo, fa pensare a un romanzo noir, se non fosse per il sottotitolo chiarificatore (E nuove poesie). La copertina, enigmatica, ospita una lucertola azzurra e trasparente, distesa su una foglia rossa. Colpisce da subito la biografia dell’autore che, nonostante la giovane età, ha già un bagaglio invidiabile di esperienze lavorative ed editoriali. Ciò che più mi attira, però, è la tesi di laurea del poeta che mi accingo a commentare. Una tesi in storia militare, precisamente sull’immagine della guerra negli anni della Belle Époque. Guerra e poesia. Un connubio apparentemente paradossale, ma foriero di esiti lirici altissimi.
Non ho letto la presentazione del libro di Roberto Mussapi, per non farmi condizionare e per seguire certi indizi che Alessandro ha disseminato qua e là: dopo la tesi, il secondo è una citazione dall’Inferno di Dante, posta a inizio raccolta, dove la “riviera del sangue” svela la sua origine. Le note dell’autore, infine, tracciano una figura chiara: la guerra e la Storia, unite in un abbraccio indissolubile.
Basta leggere la prima poesia per rendersi conto di avere tra le mani un piccolo libro dai grandi contenuti. Dai versi erompono alcune parole-chiave, che arrivano nello stomaco a bruciapelo. “Parlavamo ai nostri morti/ nel [...] cimitero di Rovereto”. Si susseguono i morti e i cimiteri nella memoria di chi scrive e di chi narra un tempo lontano, ma ancora presente. I ricordi che solo certi luoghi possono raccontare sono spine infilate nella carne dei vivi. “Memoria che cola nella memoria/ di generazione in generazione”.
La raccolta disegna un percorso geografico in terra ligure, nei luoghi piagati dalla guerra. “Una geografia dolorosa/ penetrata per le lacrime/ interne del padre./ Come riprendessero a sanguinare/ quelle fitte dorsali boscose”. Tra le mani del lettore una mappa, un album di fotografie in bianco e nero, che i versi di Alessandro riescono a tingere di rosso sangue. E poco importa che il viaggio si svolga in Liguria. Perché la guerra non ha confini e non ha tempo. Perché dietro a ogni nome di luogo e di persona c’è una Storia universale, che si reitera e coinvolge tutti, anche chi la guerra — per fortuna — non l’ha mai vista e non riesce a capire quanto orrore possa generare. Perché bisogna guardare oltre le apparenze per leggere la Storia scritta dai vinti, “scostando l’intrusione dei rampicanti” e accorgendosi dello “sfregio sulla massicciata”.
“Forse il male invariabile/ si ripete”. Di certo, Alessandro ripete alcuni termini con ossessione. E allora il male è sempre accompagnato dal lutto, dal ricordo, dalla memoria, dalla vendetta, dal patibolo, dalla carne morta, dalle lapidi, dalla Croce che imprigiona polsi e che cammina scalza sotto gli occhi impietosi del Diavolo. Nella silloge insomma Alessandro “assilla” e “opprime” il lettore, sino a togliergli il fiato... ma con grazia ed eleganza, con uno stile asciutto e concreto che non scade mai nel luogo comune. E dopo ogni poesia si spande in bocca un sapore amaro, di ferro bagnato e di nebbia. Impossibile restare indifferenti di fronte a certe immagini, che paiono scritte col sangue e che rievocano momenti dolorosissimi come la morte di un padre e di una sorella mai conosciuta. “La tua ultima notte/ di bisturi e garze”, “con il polso stretto nelle bende/ e un turbinare di larve/ a sottrarti le nostre voci”. Però, la luce riesce ad arrivare in fondo al pozzo, rischiarando anche i versi di Alessandro. “Che penetri la luce meridiana/ nelle stanze martoriate dai silenzi”.
La Riviera del sangue è un viaggio da nord a sud, da Milano a Otranto, dal presente al passato. È un lungo racconto, in forma breve, di ciò che siamo stati e di ciò che siamo, per capire dove stiamo andando. Tutti, nessuno escluso, “persone e voci sfreganti sui sassi […] sepolte vite che sono poi nostre/ e riaffiorano”. Un percorso dentro la Storia, dov’è possibile incontrare Federico II, gli Sforza, i Gonzaga, i lanzichenecchi, il generale Desaix, Napoleone. Ed un soldato qualsiasi, che il ghiaccio di Russia ha preservato intatto insieme al “nome della donna/ che gli tremò in bocca,/ prima che la sua anima/ si slacciasse nel gelo”. Personaggi che rischiano l’oblio in mezzo alla confusione di luci accese, cavalcavia, tangenziali, viali, ringhiere e graffiti, se non fosse per chi — come Alessandro — li riporta in vita, esempio per le nuove generazioni dalla memoria corta e impegnata altrove. “La memoria abita una generazione,/ o meno [...]”, questa la triste verità.
Certo, non si può “chiudere la vita/ nella perfezione della pagina [...]”, così come non si può racchiudere la Storia tra le pagine di un libro. Eppure, Alessandro si cimenta con la Storia, trasmettendoci brandelli di vite e di vicende ormai lontane. E lo fa con estremo rispetto, quasi entrasse nei luoghi in punta di piedi, pronto a uscirne al minimo segno di inquietudine di chi ancora li abita.
Per concludere, una proposta provocatoria. Perché non adottare La Riviera del sangue nelle scuole, al posto di tanti noiosi e inutili manuali di storia? “Il 12 agosto 1480/ sibilarono verso la porta/ più fragile del sistema […] molti sognarono le mogli/ prima che il fuoco/ mordesse ogni giuntura”. Quale modo migliore di insegnare l’assedio e la caduta di Otranto per mano dei turchi? Caro Alessandro, anch’io “sogno l’Europa delle cattedrali e della luce”. Ma forse, è un sogno soltanto nostro.
Lorella De Bon
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Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
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