Una recensione
a cura di Andrea Borla
|
Ralph “milita” in quella schiera di persone che, seppure non abbiano nessun conto da regolare con la giustizia, trascorrono parte del loro tempo in un carcere. Scrittore fallito e senza ispirazione, abbandonato dalla moglie dopo un rapporto lungo e intenso, insegna scrittura creativa in un penitenziario del Sud della Francia e fa visita, settimanalmente, ai detenuti che scontano la pena in quella struttura. Un giorno gli viene chiesto di occuparsi di un condannato molto particolare, Gabriel Bove, che passa le sue ore nella cella 318 in compagnia del fantasma della moglie che lui stesso ha ucciso.
L’uomo apparecchia per due persone sul tavolino della cella, divide il cibo in parti uguali, conversa con i ritratti della donna che dipinge con grande perizia e ricchezza di dettagli. E compie i suoi riti quotidiani in un piccolo universo parallelo che lentamente e inesorabilmente viene ricoperto dalla polvere. Solo una ristretta e ben delineata porzione della stanza pare sottrarsi a questo destino di soffocamento: è costituita da alcune mattonelle del pavimento completamente linde, lavate dai rivoli di lacrime che Bove versa pensando alla moglie.
Ralph riesce a penetrare nella mente di Bove e a creare, lentamente, un rapporto di fiducia con lui. Tuttavia, proprio come chi sta troppo a lungo a osservare l’abisso, viene sedotto da quella frequentazione finendo per trasformarsi nel complice di un uomo condannato dalla giustizia e da se stesso e che sembra non reagire più a nessuno stimolo proveniente dall’esterno.
Seppure alcuni dei temi de La città dell’oblio non presentino rilevanti elementi di innovazione (basti pensare alla scrittura come mezzo di evasione dal carcere e strumento di introspezione e crescita spirituale, che tuttavia deriva da un’esperienza autobiografica dell’autore, finito dietro alle sbarre all’età di diciannove anni), il libro scorre via velocemente, generando interesse sia in chi è maggiormente affascinato dai risvolti legati al noir, sia in chi apprezza gli sviluppi di carattere psicologico della narrazione. Anche in questo secondo aspetto è possibile individuare una conseguenza delle esperienze personali di René Frégni, che lavora da anni in un ospedale psichiatrico e che ha trovato nell’osservazione quotidiana della follia lo spunto per le sue storie.
Arrivati all’ultima pagina del libro, uno è l’interrogativo che più di altri resta nella mente del lettore: esiste una vita prima della morte? È con esso che ognuno di noi deve confrontarsi nella ricerca del senso della nostra presenza sulla Terra. E non è un interrogativo da poco.
Andrea Borla
|
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
È vietato l’uso commerciale e la rimozione delle informazioni di Copyright
|